In clima pandemico le interviste in alcuni casi assurgono ad una sorta di “servizio pubblico”, un modo per mantenere il controllo degli eventi, favorire la comprensione dei nuovi fenomeni commerciali ed accompagnare gli utenti ad una vista di “insieme”.
Il fashion è da sempre visione, tendenza, rivoluzione dello stile e proposta di identità la cui lettura puo’ avere interlocutori posizionati sulle diverse sponde del fiume ed alcuni indubbiamente privilegiati per il ruolo che gli compete quali, indubbiamente, gli addetti al marketing ed alla comunicazione di settore.
Oltre ai grandi gruppi, holdings e compagnie internazionali, l’attenzione volta alle espressioni più esclusive del mercato quali assoluto esempio di un valore stilistico incomparabile, puntuale conferma del Made in Italy nel mondo, caratterizza continuità della tradizione e della “sostanza” di cui l’Italia rimane uno dei principali paesi di riferimento nei circuiti internazionali.
Tra gli operatori del settore incontriamo Lino Del Vecchio, un professionista che fin dal 1981 lavora incessantemente nei back stage della programmazione ma in prima fila per la promozione sostenibile del valore sartoriale italiano.
Come e quando inizia il Suo lavoro?
Nel 1981 ero un giovane inesperto e curioso.
Motivi personali mi portarono ad iniziare un’attività nell’ambito del marketing e della comunicazione passando in primo luogo da una serie di stage e master nella città di Milano.
In quel periodo ebbi la fortuna di conoscere Mirco Achilli, scomparso prematuramente qualche anno fa, uno dei grandi protagonisti di quella ben nota “Milano da bere” e futuro professore accademico oltre che ideatore di Convivio la cui guida e condivisione nei primi anni di lavoro determino’ inesorabilmente il mio futuro professionale.
Cosa è cambiato negli anni e cosa è ora nella Sua interpretazione la condizione della moda italiana?
Indubbiamente le dinamiche commerciali, il linguaggio, la individuazione dei target obiettivo e le strategie variano in linea con la consapevolezza dei consumatori.
La produzione notoriamente si distingue tra Pret-a-portrait , il cui termine sul finire degli anni 40’ andava ad intendere “Alta Moda Pronta” ed “Haute couture” i cui natali Parigini datati 1850 e fino a circa il 1960 limitavano il perimetro delle attività nelle presentazioni personalizzate a numero chiuso realizzate nelle Maison degli stilisti.
Oggi, secondo la mia personale analisi, già al pre covid le regole sono state indubbiamente stravolte dalla esigenza di un mercato sempre più composito e poco attento, nei grandi numeri, alle differenze sostanziali dell’ offerta quanto sensibili al solo valore “estetico” del brand.
Limitando la riflessione al solo settore sartoriale ritengo che, recuperare l'esperienza del passato se non altro per la parte più confidenziale del rapporto tra stilista e cliente, possa rappresentare la migliore risposta alle criticità di una "nicchia" che negli ultimi anni ha sempre di più ridotto la propria capacità propositiva sia per ovvie ragioni di budget che di obbiettive difficoltà di "linguaggio".
Ritiene che l’allerta sanitaria, trasversale in tutto il mondo, possa determinare stravolgimenti nelle strategie che necessariamente dovranno caratterizzare le scelte dei brand di settore?
Indubbiamente lo stravolgimento è già in essere ed alcuni segnali erano già stati dati con molta energia negli anni antecedenti l’emergenza Covid per motivazioni che richiederebbero una riflessione dedicata.
Oggi, per quanto in divenire nella mia area di interesse che, come anticipato, è fortemente ascritta alla proposta sartoriale, ritengo che da questa terribile emergenza possa nascere l’occasione di un rilancio del valore e della sostanza su cui sarà possibile confrontare le idee dei creativi e dell’artigianalità che da sempre caratterizza uno dei maggiori punti di forza su cui poter investire nei panorami internazionali.
Potrebbe fare un esempio che aiuti a meglio comprendere il Suo pensiero?
Ritengo che l’attuale periodo possa rappresentare l’occasione nell'Alta moda italiana di recuperare il concetto di Maison inteso come luogo del dialogo e della comprensione da poter porre di nuovo all’esclusivo servizio del cliente.
Cio' a significare, in linea con le finalità di quello che è oggi un mercato globale, che l’idea di proposta, presentazione ed incontro con la clientela non debba ovviamente considerare come unica location l’atelier del brand ma l’idea di un servizio, prima ancora del "prodotto", reperibile in show room autorizzati il cui imprinting renda immediatamente ed ovunque riconoscibile il linguaggio dello stilista.
Chi veste un abito sartoriale sposa un un’idea dell’apparire mai discostata dalla propria personalità e assolutamente propositiva di unicità e sostanza.
Cio' determina per la clientela il bisogno di un forte riconoscimento personale collocabile in strutture riconoscibili nelle quali si senta completamente compresa e a proprio agio.
In sostanza, cio' che nella economia di scala coniugata con le strategie più avanzate del mercato diventa franchising è, pur se nella forma più estrema e spesso "dozzinale", l'esempio migliore che possa aiutare ad assimilare il concetto di riconoscimento ed accettazione del proprio stile.
Trasponendo il franchising nell'ottica del "capo sartoriale" se ne trasformano i valori fondanti sostituendo l'offerta in serie con il capo esclusivo ed il concetto di "riconoscibilità", tipico del franchising, con l'assunzione da parte del cliente di una consapevolezza matura e quasi intimistica.
Ci sono nomi della sartoria Italiana che ritiene possano rappresentare al meglio il concetto di unicità e sostanza?
Dal mio punto di vista ce ne sono diversi pur se comunque “rari”.
Mi permetto di segnalarne tre per la donna a cui sono particolarmente affezionato, diversi per stile e storia personale ma non certo per unicità e sostanza: Gianni Tolentino, Patrizia Fiandrini (anche per la linea uomo) e Piero Camello mentre per l’uomo ritengo Luca Litrico uno dei migliori esempi di perseveranza e valore il cui marchio di famiglia ha visto, fin dagli esordi, una sfilza di nomi illustri indossare il loro brand, dai molteplici artisti di fama internazionale ai diversi capi di stato.
Le proposte di questi designer e di tanti altri del nostro paese raccontano la magia della sartoria dove le idee, attraverso il bozzetto, si traducono in gioielli ed illuminano tra la folla coloro che li indossano.
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Lino Del Vecchio: Fashion & Covid...punto e accapo
Rivisitazione e rilancio della visione
Francis Sodano - | CEO
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