Coscienza dell’Uomo è il più imponente progetto fotografico mai realizzato in Italia, 365 giorni di incessante attività con lo scopo di sensibilizzare le coscienze! Con The Beatles. 14 Dicembre 1963 di Gino Begotti, gli organizzatori vogliono sottolineare l'importanza della fotografia e dell'arte!
10 anni di buona Fotografia e di buon Cinema forse potrebbero far cambiare il corso delle cose!
Il programma fotografico Coscienza dell’Uomo propone appuntamenti distribuiti nella città di Matera affiancandosi all’ampio progetto Matera 2019 Capitale Europea della Cultura, questa cadenza fotografica scandisce i termini di un impegno di autori che invita a osservare, piuttosto di giudicare ed esorta a pensare, invece di credere.
The Beatles. 14 Dicembre 1963 di Gino Begotti a Matera 2019
Prende il via Il 12 maggio 2019 l'esposizione della mostra fotografica – The Beatles. 14 Dicembre 1963 – inaugurazione alle 11:00 a Matera in Galleria Cine Sud, in mostra fino al 25 Maggio 2019 circa 20 opere, nell'ambito di Coscienza dell'Uomo.
Apparentemente, soltanto un “antico” concerto londinese dei Beatles, peraltro la loro ultima esibizione “minore”. Nel concreto, cronaca fotografica dell’attento Gino Begotti, paparazzo per vocazione, che non si esaurisce nel solo racconto originario, ma rileva valori impliciti della Fotografia, che consente di superare Tempo e Spazio. Implacabilmente, la Fotografia afferma la propria personalità implicita, che qui, con la complicità di consecuzioni storiche note e riconosciute, ha modo di esprimere se stessa... alle origini di un Mito del Novecento. Ancora oggi, soprattutto oggi, l’epopea dei Beatles continua a manifestarsi nel costume quotidiano e in identificati momenti di socialità. Indipendentemente da altre valutazioni di merito -musicali, compositive o contorni-, rimane chiaro, esplicito e lampante che il fenomeno dei Beatles è appunto tale: Fenomeno / Mito, che ha influenzato gli anni Sessanta, i cui effetti si sono poi distesi sui decenni a seguire. Magari, fino ai nostri giorni attuali, e poi andranno ancora oltre. Non ne abbiamo dubbi.
In tutto, un momento discriminante è identificabile con la tournée statunitense del febbraio 1964, che amplificò oltre Oceano quella che sarebbe stata definita beatlemania, fino allora limitata alla natia Inghilterra e a timide proiezioni europee (organizzato dal lungimirante Leo Wächter, il tour italiano è della primavera successiva 1965). In questo clima, il 14 dicembre 1963, Gino Begotti fu testimone fotografico di un avvenimento che oggi sappiamo essere stato storico, e così lo definiamo e conteggiamo: l’ultimo concerto “minore” dei Beatles, al Wimbledon Palais, di Londra.
Le sue fotografie sono esattamente ciò che devono essere: racconto fotografico, con svolgimento lineare e coerente. L’avvenimento è “coperto” (si dice così) con una perizia e solerzia di mestiere: quel 14 dicembre 1963, Gino Begotti si è abilmente e coerentemente immedesimato nel pubblico e ne ha seguìto la marcia, scomponendosi tra la partecipazione diretta al concerto (esibizione?) e la documentazione dei fatti, cioè alternando il proprio ritmo fotografico in due tempi di osservazioni distinti, quanto coincidenti.
Da una parte, la cronaca è raccontata dal punto di vista dello spettatore, soprattutto per quanto riguarda l’esibizione dei Beatles sul palco del Wimbledon Palais; dall’altra, la stessa cronaca si completa con le annotazioni di complemento: dalla composta fila di spettatori, che aspettano di entrare nella sala, alle scene di entusiasmo, a quel dopo spettacolo -senza divismo-, durante il quale The Beatles si rivelano disponibili all’incontro diretto con il pubblico pre beatlemania, che sarebbe esplosa di lì a poche settimane.
A questo punto, in quel 14 dicembre 1963, la Fotografia segna la propria presenza, annota la propria personalità formale e di intenti. Ben guidata da uno scrupoloso cronista, la Fotografia compie il proprio dovere istituzionale: compone le proprie inquadrature e distribuisce adeguati toni di grigio, la cui definizione è merito della consueta e nota combinazione di valori tecnici discriminanti, tra i quali non manca un flash elettronico capace di dare luce all’intera scena. A sera, tornato a casa, Gino Begotti completa il proprio dovere professionale, sviluppando le pellicole, riponendo i negativi e stampando le copie delle pose giornalisticamente più significative.
Cosa accade poi?
In tutto, un momento discriminante è identificabile con la tournée statunitense del febbraio 1964, che amplificò oltre Oceano quella che sarebbe stata definita beatlemania, fino allora limitata alla natia Inghilterra e a timide proiezioni europee (organizzato dal lungimirante Leo Wächter, il tour italiano è della primavera successiva 1965). In questo clima, il 14 dicembre 1963, Gino Begotti fu testimone fotografico di un avvenimento che oggi sappiamo essere stato storico, e così lo definiamo e conteggiamo: l’ultimo concerto “minore” dei Beatles, al Wimbledon Palais, di Londra.
Le sue fotografie sono esattamente ciò che devono essere: racconto fotografico, con svolgimento lineare e coerente. L’avvenimento è “coperto” (si dice così) con una perizia e solerzia di mestiere: quel 14 dicembre 1963, Gino Begotti si è abilmente e coerentemente immedesimato nel pubblico e ne ha seguìto la marcia, scomponendosi tra la partecipazione diretta al concerto (esibizione?) e la documentazione dei fatti, cioè alternando il proprio ritmo fotografico in due tempi di osservazioni distinti, quanto coincidenti.
Da una parte, la cronaca è raccontata dal punto di vista dello spettatore, soprattutto per quanto riguarda l’esibizione dei Beatles sul palco del Wimbledon Palais; dall’altra, la stessa cronaca si completa con le annotazioni di complemento: dalla composta fila di spettatori, che aspettano di entrare nella sala, alle scene di entusiasmo, a quel dopo spettacolo -senza divismo-, durante il quale The Beatles si rivelano disponibili all’incontro diretto con il pubblico pre beatlemania, che sarebbe esplosa di lì a poche settimane.
A questo punto, in quel 14 dicembre 1963, la Fotografia segna la propria presenza, annota la propria personalità formale e di intenti. Ben guidata da uno scrupoloso cronista, la Fotografia compie il proprio dovere istituzionale: compone le proprie inquadrature e distribuisce adeguati toni di grigio, la cui definizione è merito della consueta e nota combinazione di valori tecnici discriminanti, tra i quali non manca un flash elettronico capace di dare luce all’intera scena. A sera, tornato a casa, Gino Begotti completa il proprio dovere professionale, sviluppando le pellicole, riponendo i negativi e stampando le copie delle pose giornalisticamente più significative.
Cosa accade poi?
francesco mazza - | organizzatore